E’ estate. Stagione di caldi, di vitalità e per chi come me ha la fortuna (o la condanna) di imbracciare spesso uno strumento è stagione di concerti.
Facendo musica disco (si, avete letto bene. Disco. Anni settanta. Sono antico nell’intimo, io!) si vedono scene di ogni genere dal mio punto di vista sul palco. Una metafora della vita.
Il musicista, che ti guarda in cagnesco con le braccia conserte e non ti stacca gli occhi di dosso. Capisci che è un tipo che suona il tuo medesimo strumento perchè annuisce o scuote la testa a seconda di quanto gli piace quel che fai. Ghigna quando fai le immancabili paperelle che due ore e mezza di concerto portano con sè. E’ tranquillo e sorridente e carico di sicumera per un motivo banale: sul palco ci sei tu. Non lui. Lui è comodamente seduto di fronte a una birra, perchè ballare GUAI. Alzi la mano chi non conosce tipi del genere.
Il cazzaro. Non gliene frega niente di cosa fai e di come. Lui o lei si mettono lì e fanno trenini, coinvolgono amici, fanno i balli di gruppo, si scatenano. Premono per ridurre al minimo i tempi morti perchè non vogliono uscire da quello stato mentale, vogliono che tu suoni in continuazione. E’ tranquillo e sorridente e carico di sicumera per un motivo banale: è circondato di persone che ridono di lui o con lui. Appena la pista si svuota un pochetto, si vergogna e sparisce. Torna appena può di nuovo fare branco. Alzi la mano chi non conosce tipi del genere.
Poi c’è lei. Concerto in uno splendido posto immerso nella pineta del parco naturale, pini secolari, freschetto, una pista da ballo enorme fin troppo grande che non riesce a superare la “massa critica” per far scatenare la gente. Qualche piccolo gruppetto di amici che si forma e ballicchia, qualche gruppo di bambini che gioca, e lei. Lei che si mette a inizio concerto e balla come se non ci fosse un domani, completamente da sola, senza guardarsi intorno, senza nemmeno curare i suoi movimenti. Gambe e braccia che si allontanano e si avvicinano dal corpo, spesso in modo sconnesso, talvolta perfino leggermente fuori tempo. Balla cinque, sei pezzi, si ferma a bere e riparte. Tutta la sera cosi’. Due ore di repertorio, e lei a ballare in questo modo disomogeneo, noncurante e squisitamente sincero. Una scena decisamente ipnotica.
“Balla come se nessuno ti stesse guardando”, recitano un sacco di odiosi cartelli da Facebook. Hanno ragione. Dovremmo vivere un po’ tutti come lei.