…premessa: sono evidentemente ancora vivo
Dette per prime le cose più importanti, passiamo alle riflessioni su questo intervento Lungo, con annessa degenza lunga e decorso post operatorio lungo. È tutto lungo, o quasi, insomma. Quello che dovrebbe essere lungo invece non lo è.
Sono uscito dall’intervento, che tanto per non farsi mancar nulla si è rivelato più complicato del previsto e ha rivelato un secondo tumore che giocosamente si era nascosto dietro al primo, palesemente cotto, sanguinante e soprattutto dolorante.
“mi scusi, infermiera, potrei avere un analgesico?” – “guardi, al massimo le dò un tachidol, lei é un omone forte, vedrà che può sopportare”. Che è un po’ come una donna che vuole un uomo e al posto di Raul Bova le mando Alvaro Vitali dicendole “lei ha le tette grosse, vedrà che se lo farà piacere”.
Torno a casa e parlo con una amica del decorso, delle difficoltà che sto vivendo. Non mi sono ancora ripreso e c’è la possibilità che certe cose non tornino più come prima. Sono in ansia, anzi, in angoscia. “Eh, ma tanto sei forte, vedrai che superi anche questa”.
Parlo della mia angoscia con le persone che mi stanno vicine e… si incazzano. “Smettila. Devi essere forte”
lo sapete che vi dico? Io mi sono stancato di essere forte. Stancato di stringere i denti, di lottare per tutto e per tutti. Sono stanco di essere una roccia, stanco di non poter mai cedere, di non poter rallentare, di non potermi lasciare andare anche solo per un istante. Stanco di non poter provare a cadere sapendo di essere raccolto, nemmeno una volta per provare l’effetto che fa.
Questa non è più forza. È un lento catabolismo. La stanchezza di essere roccia che mi sgretola da dentro.