Io non ho paura

Io non ho paura
quando novello Serse
assalti le termopili
della residua mia virtù
spazzando via sprezzante
gli Opliti del Pudore

E non avrò paura
se l’animo tuo ardente
gabella per poesie
testicoli un po’ buffi
nobilitàti (e male!)
con l’uso dell'”a capo”

l’unico mio terrore
più del lampo e la tempesta
più del cielo che mi cade sulla testa
più della febbra che guasta il dì di festa
più del poeta privo di rime in -esta

il terrore di finire
nella categoria “pazze”
che lì, veramente,
mi girerebbero le ovaje.

sa30a

6 thoughts on “Io non ho paura

  1. Un’unico pensiero: tu singleatrent’anni sei troppo “sopra” a noi comuni mortali. La tua curiosità, la tua cultura, la tua invettiva, la tua poesia, di una cantabilità a volte spiegata, a volte melanconica, non potranno mai essere capite dalle testoline piccole e meschine delle esponenti del gentil sesso (s’intende salvo mia madre e mia sorella).
    Un’unico consiglio: vola basso, sii superficiale, qualunquista, furbo e ignorante. E tromberai!
    Provo per te (e per me) un misto di stima e di commiserazione.

  2. Ti prendo e ti porto via.
    Come Leònida alle Termòpili,
    come si fa con le sìlfidi,
    che sembran novelle amàzzoni
    che i loro dardi scòccano.
    Come mi gàrbano le sdrùcciole!
    (o allora? O ammàzzami!)

    Ti prendo e ti porto via
    perché è una poesia
    mica brodo di fagioli,
    e se dei Crisma non ci son più olii
    bisogna che finisca il mio poema
    chè l’a capo, già si sa, è uno stilema.

    Ma temo il consonante
    ch’ora s’appressa innante,
    ratto, rapido, fulminante
    la frèva, dici, no, non scotto
    massì, ciavrai almen trentotto e otto.

    Non ho paura, no,
    ma ti prendo e ti porto via
    vorrei far la rima con Ammanniti
    ma mi girano i santissimi
    (sapessi come… uh, parecchio…)

  3. Valerio di Stefano
    Mamma mia…Questo mi riprende per “un’unico”.
    Peccato per la sua filastrocca…Peccato per il “ciavrai” (che lo si capisce, vorrebbe essere ironico ma è solamente stupido), per la costruzione faticosa e scostante del verso (i critici direbbero “nervosa”, e invece è soltanto misera), per l’infelice alternarsi di lessico aulico, ricercato, involuto e momenti di disgustosa banalità. Legga Leopardi, Manzoni, Buzzati…E ricordi che il miglior modo per scrivere è quello di evitare i modi di dire imparati a scuola, i luoghi comuni, le frasi fatte, le citazioni auliche…Cominci umilmente a scrivere nella maniera più piana e discorsiva, semplice, quasi dimessa…Noi tutti ne saremmo felici :-)
    Vaghe stelle dell’Orsa…

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