Riprendiamo le trasmissioni dopo un hiatus un po’ troppo lungo (scusate, scusate) per disquisire di una emozione di cui volevo parlarvi da un po’, e per tirare finalmente fuori – dopo tanta razionalità – un po’ di visceri.
Rabbia. Ma non la rabbia di quando vi vandalizzano la tanto amata vettura, o di quando qualcosa va storto sul lavoro. Una rabbia profonda, emotiva, viscerale e vissuta. La rabbia vera. Quella distruttiva.
Mi è capitato – spesso, troppo spesso – di sentirmi dire “ma tu sei arrabbiato con me perchè…” e guardare il mio interlocutore con la famigerata “faccia a punto interrogativo” che recita un inequivocabile “ma anche no”. Perchè la rabbia per me è sentimento sacrosanto, è una emozione devastante e ha una dignità fortissima. Come l’amore, la rabbia è per i meritevoli. Si contano sulle dita di una mano (e di E.T., per giunta) le occasioni in cui mi sono sentito davvero pervaso dalla rabbia, e per fortuna di tutti sono momenti assai lontani nel tempo.
I Lacrimosa sono un duo nella musica come nella vita. Tilo Wolff e sua moglie Anne Nurmi hanno spaziato dal gotico d’annata dei primi anni novanta, lento, oppressivo e musicalmente semplice fino alla musica se non classica di sicuro “colta” dei primi anni del terzo millennio. Utilizzando una tavolozza sonora e tematica di straordinaria varietà hanno veicolato di volta in volta messaggi diversi, a partire dalle tematiche più dark e depressive fino alla luce abbagliante di un rapporto col Divino forte e vissuto in maniera personalissima. In mezzo un vocabolario di straordinaria varietà, che comprende rock, goth, dark-wave, ambient, musica sinfonica, il tutto calato in un substrato di heavy metal che non è mai legame o stilema a cui conformarsi, ma strumento nelle mani di un compositore che ha dalla sua il tocco del Genio.
Vi avverto: le tinte di questo brano sono forti, aspre e molto dure. Non tutti hanno un orecchio abbastanza allenato a certe sonorità, per cui se le musiche troppo pesanti vi spaventano, non ci rimarrò male se passate oltre.
Feuer, “Fuoco”, è come la rabbia: puro, indiluito, martellante, si autoalimenta in un crescendo che chiama un unico, drammatico epilogo. L’unico epilogo possibile per la rabbia: lasciarla uscire, sfogarsi, massacrarne la causa senza misericordia, senza trattenersi, con efferatezza e crudeltà. A rimarcare quanto martellante e costante è la rabbia è deputato un fraseggio di archi, ossessivo, meccanico, usato quasi come un “pedale” (tecnicamente non lo è, mi perdonino i conservatoristi per la licenza poetica), che non ci abbandona per l’intera traccia; brace di un sentimento vivo su cui si innestano i momenti di rabbia urlata, e i momenti di rabbia gelida.
Chi di voi ha sperimentato la rabbia, quella autentica, si è già riconosciuto nel quadro tracciato dall’archiettura del pezzo: un ribollire di sottofondo su cui si innestano momenti di meditazione furibonda ad altri di violenza pura. Nella meditazione tocca alla voce di Tilo, profonda, solo apparentemente tranquilla, rimarcare momenti che tutti noi abbiamo vissuto e pensato almeno una volta. “Questa è tua prima e la tua ultima vittoria […] ma il tempo è una puttana – si concede in fretta, e già a lungo mi sono saziato dell’odio per te” è un ritratto abbastanza fedele del momento prima dell’eruzione, il momento in cui ci si rende conto che la rabbia ci sta divorando ed è il momento di tirarla fuori, e arriva il primo assalto.
“Questo è il mio tempo di bruciare, questo è il mio tempo di bruciarti. Un giorno sarai in questo luogo buio, io ti darò fuoco e poi ti ascolterò gridare”. Un anatema tanto semplice quanto crudele, ripetuto come una filastrocca dalla voce di un bambino – perchè solo i bambini hanno il concetto di ferocia non mediata dalla civiltà – e fatto proprio da un adulto, gridato con la voce più potente di Tilo. Uno stridente parallelismo che ha un unico messaggio: si sono mollati i freni, ci si è lasciati andare e la rabbia è sbocciata, come crisalide, nella farfalla della ferocia.
A nulla valgono le giustificazioni della seconda meditazione, quasi un rigurgito di civiltà: “Concedo la compassione solo ai meritevoli”, e quello struggente ma vano tentativo di demolizione dell’oggetto della nostra rabbia, paragonato non a un bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, ma a un segno d’acqua dove il bicchiere è stato posato un tempo. Come se non meritasse tanto. Purtroppo non c’è niente da fare, non c’è giustificazione, non c’è misericordia. Bisogna completare l’opera, e il secondo assalto è più brutale del primo, con una doppia cassa e un rullante martellante a tratteggiare un ritratto di una ferocia pura, istintiva, primordiale. Un attacco quasi fisico alle orecchie dell’ascoltatore, il ritratto di una distruzione: “La tua ignoranza, la tua vanità, la tua saccenteria, implodono. Un giorno sarai in questo luogo buio, io ti darò fuoco e ti ascolterò gridare”. Una dichiarazione di odio da fare impallidire, gridata in un tedesco quanto mai adatto.
E solo allora, dopo colpi e colpi, il nostro “pedale” torna a farsi sentire, e lentamente muore, come la nostra rabbia, compagna di una notte.
Questi, signori, sono i Lacrimosa. Questa è “Feuer”. Questa è rabbia. Pura.
Ringrazio pubblicamente MetalGermania per la traduzione, che non ripubblico integralmente in quanto opera loro. Trovate da loro tutti i testi dei Lacrimosa, alcuni dei quali sono vere opere d’arte.
Che buffo… a me non fa affatto lo stesso effetto.
Anzi, la trovo una musica fin troppo “pop” ed orecchiabile.
Senza voler fare per forza lo sborone estremista, ti segnalo per
confronto Liar della Henry Rollins Band, canzone che adoro per la
musica, per il testo ma soprattutto per come è interpretato e per
l’eccezionale ironia dissacrante di questo stravagante macho tatuato
che risponde al nome di Henry Rollins.
Questa forse non è rabbia… ma è cattivera, pura!
http://www.youtube.com/watch?v=fxrd_jZJxkg
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