Scusatemi questa serie di post, ma ho bisogno di catarsi e questo blog è il posto migliore dove trovarla. L’unico, anzichenò.
Quello che segue è un racconto in più parti di un timido tentativo di riprovarci , tentativo di cui non vi ho mai raccontato perchè è sempre stato un work in progress. Almeno fino a stasera. Ora è nella categoria dei job done.
E’ tutto partito in modo strano, singolare. La conosco da anni, fa parte della “cerchia allargata” dei miei amici, l’ho vista a qualche cena. Lei col marito (tenuta al guinzaglio corto, e si notava) io con la moglie. Due chiacchiere, qualche battuta, nulla di più.
Ci ritroviamo in tempi recenti sull’amato-odiato facebook. Io separato: lei pure. Due chiacchiere in chat, l’unica volta che ci siamo incontrati, una battuta, un “via, ti inviterò a cena” e lei “perchè no”. Coetanea, un figlio di dieci, una laurea, un lavoro, una conversazione piacevole e la scoperta di una persona diversa da quella che avevo visto al guinzaglio del marito.
Sono una coppa vuota, ricordate? finisco col suo numero di telefono, che userò dopo qualche settimana. L’idea mia? un esercizio stilistico, nulla più: una messa in pratica della mia nuova filosofia di vita, una cena fatta come mi piacerebbe regalare ad una donna e, aggiungo, per il puro piacere di farlo. Anche perchè, col pragmatismo che mi contraddistingue, sapevo benissimo che non sarebbe potuto succedere niente: lei è bella, bella davvero, e so benissimo che certe donne sono completamente al di fuori della mia portata. Nessuna intenzione, nè ludica, nè sentimentale, neque bellicosa: una serata, una piacevole conversazione, la scoperta di una persona nuova. Non volevo altro.
Nel mettere alla prova la teoria della coppa vuota e vedere se riesco a reggerla regalando una serata per il puro piacere di farlo, arriva un’altra prova: la febbre intestinale. Ebbene si: ne trovate una controprova involontaria nel mio primissimo post, in cui racconto che la salute fa le bizze. Decido di imporre, come si suol dire, “lo spirito sulla materia” e parto. Parto lo stesso, con trentanove e mezzo di febbre e la dissenteria. Certe follie capitano solo a chi vuole ritrovare un rapporto col proprio corpo (e stabilire chi comanda, tra corpo e volontà), certe follie capitano solo a chi ha un desiderio e vuole raggiungerlo, e favvanculo febbre, favvanculo diarrea, c’è un momento e voglio viverlo prima che scivoli via. Certe follie le faccio solo io.
Ora, i più arguti tra di voi potrebbero chiedermi cosa cacchio mi aspettassi da un rapporto che tutto sommato nasce sotto il segno della merda. Quelli più arguti tra i più arguti risponderanno agli arguti semplici che non sono un ragazzo intelligente, e non è l’omen di una scarica di diarrea a mandarmi dei segnali che io possa comprendere.
La serata scorre piacevole, tra la conversazione veramente adorabile, io piuttosto contento nel godermi gli sguardi degli avventori che si chiedono come cacchio ha fatto quello a recuperarne una così, in una atmosfera a lume di candela su un localino arroccato sul fianco di una collina, davanti ad una cascata che ci tiene compagnia. Parliamo, di tutto, di me, di lei, delle rispettive storie e di come sono finite, di suo figlio, e di un curioso suo amore che a quanto pare le ha detto “no, non posso” il giorno di San Valentino per fare un weekend con la moglie di cui lei non sapeva neanche l’esistenza.
Come dite? avrei dovuto cogliere ALMENO questo segnale? oh, si, l’ho colto al volo. Ma ricodate che io sono partito completamente vuoto, vuoto da ogni proposito? avrebbe potuto raccontarmi anche di rapporti a cinque, mi sarebbe importato relativamente. Anzi. E’ innamorata di un altro che non la vuole e torna dalla moglie? mi spiace per lei, pax. La serata, per me, restava immutata: una serata che si sarebbe chiusa lì.
La riporto a casa (ovviamente l’ero andata a prendere), saluti, dopodichè VOLO per i sessanta chilometri che mi separano da casa mia dove arrivo in bagno giustappunto in tempo, con il corpo che si dispone a farmela pagare per tutta la settimana successiva, e la tranquillità di sapere che non l’avrei sentita mai più, se non per qualche chiacchiera o qualche confidenza.
Avrei scoperto qualche giorno più tardi che mi stavo sbagliando.
(segue. Ooooh, e come se segue)